La Jornada 3 maggio 1998

In Chenalhó, la prepotenza dei paramilitari colpisce le loro famiglie

Hermann Bellinghausen, inviato, San Pedro Chenalhó, Chis., 2 maggio ¤

La paramilitarizzazione delle comunità priiste di Chenalhó ha deteriorato rapidamente il tessuto comunitario - oltre a produrre fatti come il massacro di Acteal e l'espulsione violenta di un terzo della popolazione totale di questo importante municipio tzotzil.

Due cose determinano questa auge dei paramilitari di orientamento pro-governativo: la loro impunità e l'appoggio economico e logistico che continuano a ricevere. Il loro potere è tale, che mantengono sotto il terrore le proprie famiglie e vicini, che, se fanno la scelta di essere "priisti" ricevono pacchi dispensa, attenzione per la salute e una sorta di "protezione" da parte delle bande armate.

In uno dei suoi primi viaggi come governatore, Roberto Albores Guillén ha percorso Chenalhó e in Polhó ha ricevuto "nelle sue mani", una lista con 252 nomi di paramilitari coinvolti nella escalation di attacchi che sono culminati con Acteal. La lista precisava il gruppo d'appartenenza e la comunità d'origine. Attualmente ci sono circa 90 arrestati, molti di loro contadini che non appaiono in quella lista.

Attualmente, le persone che hanno consegnato la lista al governatore - membri del consiglio municipale autonomo - sono minacciati, da un lato di morte dai paramilitari, e dall'altro di carcere, da parte del governo di Tuxtla Gutiérrez.

Però sia come sia, essere indio in Chiapas non paga. Come afferma la madre di uno dei paramilitari arrestati, originaria di Yashemel, e il cui nome ovviamente viene omesso; "se li sono portati via arrestati però hanno promesso che li liberavano presto, appena il problema finiva". La donna teme oggi che non si rispetti la "promessa". Queste cose non succedevano.

Una preoccupante "novità" del fenomeno paramilitare è la sua capacità corrosiva delle forti tradizioni secolari dell'insigne popolo di Chenalhó. Quando uno dei vecchi più rispettati di Pechequil, un responsabile dei più importanti, fu preso a ceffoni da suo genero, paramilitare priista, che aveva ricevuto un rimprovero per la sua condotta violenta, ha fatto sentire alla comunità che qualcosa si era rotto. Queste cose non succedevano. Adesso, gli stessi familiari vivono sotto la paura dei loro figli paramilitari.

L'origine di queste bande armate è molto chiaro ed è già stato documentato dagli storici di Chenalhó. Si tratta di giovani che arrivano dagli unici ejidos del municipio: Puebla, Yashemel e Los Chorros; i loro vincoli sono con l'apparato dello stato e non con il tessuto comunitario (che funziona al di sopra dell'identità priista, zapatista, "abejas" o che sia). Questi ejidos rappresentano la parte più "priista" di Chenalhó ed hanno la struttura tradizionale più debole.

Per tutti è chiaro che la forza dei paramilitari viene "da fuori" e si sostiene grazie all'aperto appoggio che riceve dalle forze d'occupazione in Los Altos: la Polizia di Sicurezza Pubblica dello stato, la PGR e l'Esercito Messicano. Gli stessi funzionari della Segreteria di Governo ai tempi di Julio César Ruiz Ferro riconoscevano che gli agenti del Cisen (Sicurezza Nazionale, dipendente dal Ministero degli Interni) conoscevano l'identità e la struttura dei paramilitari da prima del dicembre 1997.

Adesso, luoghi come Los Chorros hanno visto proliferare la prostituzione ed il traffico di droga, prima sconosciuti. Si sa, in dettaglio, delle armi interrate in Los Chorros, che sono alcune di quelle utilizzate ad Acteal, però solo una è stata "scoperta".

Le pressioni della contro-paramilitare bloccano tutti i priisti che tentano una composizione pacifica con le organizzazioni d'opposizione, e maggioritarie, del municipio. Il precedente segretario, Jacinto Arias, oggi detenuto, era già stato sfollato dai paramilitari da prima del massacro. E quando lo aveva sostituito un primo consiglio, il nuovo presidente era stato espulso per le pressioni ("di usi e costumi", decretò la propaganda ufficiale) a pochi giorni dalla sua designazione.

Oggi si afferma in Chenalhó che questo è dovuto al fatto che quel fugace consiglio municipale voleva dialogare con gli autonomi. Velocemente fu sostituito da un altro consiglio, docile all'antiguerriglia, capeggiato da Pedro Mariano Arias Pérez. Con la condizione di "non mettersi" in mezzo a come si governa, a come si amministra lo stanziamento governativo, i cui benefici non arrivano nemmeno a metà della popolazione.

Le perdite materiali dovute alla paramilitarizzazione sono immense. Un dato: la Unione Majomut, notabile esperienza organizzativa dei produttori di caffè di Chenalhó, l'anno passato vendette 12 lotes di grano (ciascun lote è di 17 tonnellate e mezza). Quest'anno ne avrà solo due da vendere. Buona parte del raccolto è stato rubato o bruciato dai paramilitari. Un'altra parte è caduta nelle reti dei coyote, a causa della disperazione economica dei contadini produttori. Per il 1999, se non si recuperano i campi di più di mille famiglie oggi sfollate, la vendita arriverà praticamente a zero.

Al genocidio di Acteal se ne sommano altri due: la lenta morte per le condizioni di salute, le malattie e la denutrizione acuta, prodotte dalle espulsioni promosse dal "nuovo" PRI e il genocidio sociale che distrugge comunità, costumi e una tradizione spirituale e di convivenza che prima di Acteal meravigliava gli studiosi. Non serve essere un antropologo per vedere che la distruzione di Chenalhó potrebbe essere una delle maggiori tragedie culturali di questo fine secolo.


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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