il manifesto

2 gennaio 1998


Un presente storico

Il primo gennaio '94

GIANNI PROIETTIS - SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS

MARIBEL, come sempre, si sveglia per prima.
La brace rosseggia ancora nel caminetto e il sole, già alto, entra a fiotti dalla finestra intiepidendo la stanza.
La sento ordinare la colazione al telefono, protestare a bassa voce, riagganciare.
"Non c'è servizio", dice con voce sconsolata.

La brutta notizia mi sveglia del tutto, snebbiando gli effetti della vodka.
Viviamo a San Cristóbal da otto mesi, ma siamo venuti a passare la notte di fine d'anno in questo hotel, come una coppietta di turisti in luna di miele, proprio per non dover pensare a spesa, cucina, piatti.
Il cenone, ieri sera, era splendido e la festa divertente, ma questo apparente sciopero del personale che ci priva della colazione in camera rischia di farci cambiare di umore.
Decidiamo di scendere al ristorante.

La sala è già stata pulita dai resti del veglione ma è curiosamente deserta.
Dietro al bancone, un cameriere, l'orecchio incollato a una radiolina, non ci degna neanche di uno sguardo.
Non riesco a reprimere uno scatto d'ira.
"Dos desayunos americanos, por Dios!".
Il ragazzo si stacca un momento dalla radio, ci guarda con aria sorpresa e spiega con grande pazienza: "In cucina non c'è nessuno. Il personale è andato a casa. La città è occupata dai guerriglieri guatemaltechi".

Ci guardiamo increduli.
Ora siamo in tre incollati a un transistor con le pile scariche.
Uno speaker improvvisato, con un forte accento indio, spiega che non si può uscire dalla città, che hanno occupato tutti i punti nevralgici, compresa l'unica stazione radio.
Ma la popolazione non ha niente da temere.
E' chiaramente un happening .
A sei anni dal Duemila non ci si può invadere tranquillamente una città turistica di centomila abitanti.
Il cameriere potrà anche abboccare ma a noi quella storia fa semplicemente ridere e, dopo un panino e un succo di frutta, decidiamo di andare a dare un'occhiata in centro.
Il ragazzo, preoccupato, ci sconsiglia vivamente: "E' pericoloso. Sono concentrati proprio nello zocalo. E sono armati".

Camminiamo lungo le otto cuadras che ci separano dalla piazza principale.
E' una giornata di sole.
L'aria è limpida, il cielo azzurrissimo e il fatto che circoli poca gente si spiega facilmente: a Capodanno è normale che si dorma fino a tardi. Quando arriviamo in piazza, la scena ha dell'incredibile.
Tutti gli accessi sono presidiati da guerriglieri armati, ma nessuno impedisce il transito di pedoni e veicoli.
Alcuni hanno il viso coperto da paliacate rossi, i fazzolettoni dei campesinos, altri stanno a viso scoperto.
Hanno l'aria più tranquilla di questo mondo e, a volte, posano addirittura davanti alle macchine fotografiche dei turisti.

L'arsenale varia da piccoli 22 da caccia a mitragliette di fattura artigianale o semplici machete.
Molte le ragazze, con belle trecce lucide da indie.
In effetti sono tutti indios, ma sembrano di differenti etnie.
Le uniformi sono quasi tutte uguali: pantaloni neri, camicie marroni e berretti che ricordano quelli dei sudisti dei film western.
Alcuni portano dei cappelli come quelli dei rangers australiani, con una tesa all'insù.
Gli accessori, come gli zaini e le cartuccere, si direbbero fatti a mano.

Il gruppo più numeroso ha occupato il palazzo municipale e bivacca sotto il porticato.
Alcuni mangiano, altri dormono accanto a un grande mucchio di medicinali che hanno saccheggiato da una farmacia vicina e distribuiscono alla popolazione.
Intorno al palazzo si accumulano mobili sfasciati e schedari evidentemente gettati in strada dall'alto.
Penso all'usanza italiana di buttare la roba vecchia dalle finestre e mi ci vuole un po' a capire che si tratta degli archivi municipali.
Ce n'è abbastanza per correre a casa a prendere la piccola telecamera superVhs.

Supplico Maribel, ormai agganciata al filo delle mille telefonate, di caricarmi le altre batterie, di cui avrò sicuramente bisogno più tardi, inforco il motorino e torno in piazza, questa volta armato di video.
La scena sembra ancora più irreale.
Non ci sarà una cinepresa nascosta?
Se fosse la troupe di un film di guerriglia che ha deciso di fare uno scherzo goliardico?

La risposta arriva, inquietante, dai primi caccia che sorvolano come segugi il centro delle città.
I guerriglieri alzano lo sguardo ma non tradiscono il minimo segno di inquietudine.
Hanno dipinto graffiti antigovernativi su tutti i muri e affisso alcuni manifestini intitolati "Declaración de la Selva Lacandona".
I passanti, in maggioranza turisti, si fermano a leggerli.

Un guerrigliero attira la mia attenzione: è uno dei pochi con il passamontagna, un mitra più serio degli altri (o è una machine-pistole?) in una mano e una piccola trasmittente nell'altra.
E' il più alto e sembra l'unico non indio.

"Il solito agente della Cia", penso con tutta naturalezza.
"E' lei che ha il comando qui?", chiedo.
"Sono solo un subcomandante", mi risponde garbatamente.
"E chi è il comandante?", insisto, nella speranza di arrivare al number one.
Il comandante è in consiglio.

Le cose si complicano e, come si sa, è meglio un uovo oggi...
"Che le pare se le faccio un'intervistina?", azzardo.
"Devo chiedere permesso al consiglio, per l'appunto. Se mi aspetta un attimo qui...", e sale al primo piano del palazzo municipale.
Invece di aspettarlo, lo seguo istintivamente, forse per paura di perderlo.
Salgo le scale dietro di lui e nessuno degli armati che presidiano in doppia fila le scale mi ferma.
E' chiaro che pensano che sto con lui.
Senza accorgersi che mi muovo nella sua scia, lui apre la porta di un ufficio e entra.
Nella stanza oscura - le finestre sono tutte sbarrate - intravedo un circolo di persone sedute.
Non riesco a distinguere i visi, ma scorgo alcune donne mature, dalle lunghe trecce nere...

Il subcomandante si toglie il passamontagna ma non lo vedo in faccia, mi dà sempre le spalle.
Parla all'orecchio di un uomo, che gli risponde e mi indica.
Si rimette frettolosamente il passamontagna e viene alla porta
. "Ti avevo detto di aspettarmi giù", dice un po' irritato.
"Non ho capito bene", farfuglio.
Forse ho fregato tutto.
"Vabbè, non importa, andiamo già che ti do' questa intervista".
Sembra di buon umore, e aspetta che io scelga una buona inquadratura proprio di fronte al palazzo.
Si comincia a formare un primo capannello di curiosi.
Una minuscola ragazza con il passamontagna si mette alle sue spalle.
Ha due vivissimi occhi orientali.
E' una guardia del corpo o un commissario politico?
Il dubbio mi perseguita per tutta l'intervista. "Avete occupato varie città qui in Chiapas, sfidato il governo e dichiarato guerra all'esercito messicano. Ma chi siete e cosa volete?".
"Siamo l'Esercito zapatista di liberazione nazionale"...

Mentre parla, mi rendo conto lentamente che il momento farà sicuramente storia, vada come vada.
Gli aerei continuano tutto il tempo la loro ricognizione ma lui sorride calmo sotto il passamontagna, spiega, ironizza...
Ha la pazienza rilassata dei fumatori di pipa.
Mi fa l'impressione di uno destinato a vincere.


Domani una intervista di Gianni Proiettis - sulla drammatica situazione del Chiapas e le nuove minacce di guerra - a fray Gonzalo Ituarte, segretario della Commissione di intermediazione (Conai) e vicario del vescovo di San Cristóbal, Samuel Ruiz


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