La Jornada-Masiosare, domenica 1 novembre 1998
Taniperla sotto l'occupazione
Jesús Ramírez Cuevas
Questo è il resoconto dei danni provocati dalla "restaurazione dello Stato di diritto", a sei mesi dallo smantellamento del "municipio autonomo" con capoluogo a Taniperla. Fame e paura, abusi ed ancora paura. La scuola locale occupata dai soldati, mentre i bambini assistono alle lezioni in una casa, senza banchi né lavagna.
Figlio di peones liberati di una fattoria di Ocosingo, Juan Sánchez non dimentica i colori della paura: il blu e il nero dei poliziotti, il verde oliva dei militari, il senso d'angoscia degli indifesi di fronte alle armi. Da sei mesi più di mille tra soldati dell'Esercito Messicano e poliziotti, sono arrivati per imporre lo "Stato di diritto" a Taniperla. Da allora, gli indigeni zapatisti vivono nella paura.
Juan, giovane tzetzal, ha una spiegazione: "Vogliono impaurire la gente perché abbandoni la comunità, vogliono che abbandoni il villaggio o che smetta di lottare''.
E sempre perché la gente se ne vada o si tranquillizzi, prosegue Juan, il governo ha rafforzato il Movimento Indigeno Rivoluzionario Antizapatista (MIRA), un gruppo paramilitare creato ad immagine e somiglianza dei suoi predecessori nel nord del Chiapas.
"Il governo vuole scatenare la guerra tra i poveri. Vuole che ci ammazziamo tra di noi per lavarsene le mani. La gente non vuole lo scontro, prende coraggio e cerca di non litigare con i propri fratelli campesinos''.
La militarizzazione ha fatto strage nella popolazione che ha osato installare un governo municipale ribelle a Taniperla, una comunità tzeltal situata nella valle di Agua Azul, a 70 km circa ad est della città di Ocosingo.
Questo è un breve resoconto dei danni
Negli anni quaranta questa regione ha cominciato ad essere abitata da immigrati indigeni che cercavano un pezzo di terra. Negli anni cinquanta e sessanta sorsero i primi villaggi nella montagna: El Censo, Taniperla, Perla de Acapulco, Zapotal, San Caralampio, San José, Calvario. I nuovi arrivati provenivano dalla dura vita delle fincas ganaderos (feudi di proprietà di allevatori). Attualmente, circa15 mila indigeni abitano la regione, dove vivono della coltivazione di mais, caffè e allevamento.
Qui il MIRA ha stabilito la sua prima zona di controllo nelle cañadas (vallate) con l'aiuto del governo, della polizia e dell'Esercito Messicano.
Dopo l'offensiva del 1995, l'Esercito installò un accampamento da cui si ritirò mesi dopo. A quel tempo, voluti dai militari, sorsero i primi gruppi paramilitari nel nord, che poi sono proliferati anche in Los Altos e nelle Cañadas.
Il fiume Perla nasce qui vicino e scorre per la Selva Lacandona per congiungersi al fiume Jataté, in una cañada i cui margini arrivano ai confini delle montagne che salgono ai Montes Azules. Oggi è un paesaggio ferito, come la gente che lo abita, a causa dell'intensa siccità e degli incendi che hanno distrutto centinaia di ettari di boschi, piantagioni di caffè e di mais. Il pericolo della fame è un fantasma sempre più vicino. Come se non bastasse, gli indigeni vivono nel terrore provocato dai soldati, dai poliziotti e dai paramilitari che controllano i villaggi.
Le autorità "hanno restaurato lo Stato di diritto" attraverso l'occupazione militare. La popolazione vive uno stato d'assedio virtuale. Le forze dell'ordine pattugliano le strade, vigilano sulle piantagioni di caffè e di mais, interrogano e perseguitano la gente. Gli indigeni hanno paura e preferiscono non uscire dalle proprie case.
In un recente documento, 712 indigeni dell'ejido esigono "che la Polizia e l'Esercito Messicano si ritirino immediatamente dalla nostra comunità, perché non possiamo più sopportare la violenza''.
"Per la paura quasi più nessuno si ferma a chiacchierare nelle strade, si parla di nascosto, a voce bassa, nelle case, in silenzio, di nascosto'', dice Juan Sánchez.
Il 3 ottobre scorso, 12 soldati sono entrati nella via principale della comunità, impugnando le armi e gridando: "Questo territorio è nostro''. Decine di occhi li osservavano dalle finestre.
La scuola che non c'è più
Nonostante il tentativo ufficiale di distruggerlo, il municipio autonomo Ricardo Flores Magón funziona ancora grazie alla protezione della gente ed alla geografia del luogo.
L'occupazione militare ha sconvolto la vita quotidiana di Taniperla. Le parole degli anziani, che prima erano la vera autorità della comunità, non viene più ascoltata. "I priísti, appoggiati dall'Esercito, non ascoltano più gli anziani e fanno solo quello che ordina loro il governo'', aggiunge Juan.
La parola ora ce l'hanno i soldati, che si sono sistemati nella scuola della comunità. I bambini prendono lezioni in una casa dove non ci sono sedie, tavoli, materiale scolastico né lavagna.
"I soldati hanno scavato e costruito trincee sul terreno della scuola'', denunciano gli abitanti.
Tutti i giorni, dichiarano, "i militari svolgono quello che loro chiamano lavoro sociale, anche se il loro unico lavoro è andarsene armati per la comunità ad impaurire la gente. Il lavoro sociale dei soldati consiste nel rubare il poco che possiedono i campesinos: il loro mais, la loro frutta, i loro animali da cortile''.
Quattro volte al giorno i poliziotti ed i soldati armati pattugliano le strade. Per esempio, il 19 agosto 12 poliziotti sono arrivati con un cane ed hanno circondato la casa di Francisco Hernández Cruz, simpatizzante del municipio zapatista, puntando le armi contro la sua famiglia per impaurirla. E' la terza volta che succede. I poliziotti armati sono tornati il 7 ottobre per lasciare una citazione a Francisco Hernández.
La prostituzione è un altro fenomeno nuovo portato dall'occupazione. Le signorine passeggiano per il villaggio, si abbracciano con i soldati agli angoli delle strade ed usano le loro case per gli incontri intimi con i soldati.
"Ora a Taniperla esistono postriboli e le prostitute vanno all'accampamento militare. Prima non c'era prostituzione, la gente ignorava l'esistenza delle prostitute. In poco tempo hanno portato il cattivo esempio nella comunità''.
Nel luglio scorso, il poliziotto Juan Alvarez Gómez ha obbligato una minorenne, figlia di Pedro Mazariego Pérez, ad avere rapporti sessuali con lui in cambio di denaro. Esistono molti casi di molestie sessuali e minacce da parte dei soladati alle ragazzine, denunciano gli abitanti dell'ejido.
Manuel, il ricercato
I militari pretendono di controllare perfino la vita economica. Il 23 di agosto il campesino Víctor Aguilar venne a vendere mais nella comunità. I poliziotti lo fermarono con violenza senza alcun ordine di arresto. L'indigeno rimase rinchiuso per 12 ore nel carcere dei priisti.
I soldati ed i poliziotti applicano anche la giustizia. Nello stesso tempo costruiscono colpevoli e questo impaurisce le famiglie di oppositori. Il primo di settembre Manuel Hernández Hernández - simpatizzante zapatista - denunciò al commissario per i beni dell'ejido, Alejandro López Gómez, che una società costruttrice aveva distrutto il suo terreno. Invece di ascoltarlo ed assisterlo, le autorità priiste chiamarono la polizia. Arrivarono 30 poliziotti che spararono due volte in aria per spaventare il reclamante.
I soldati hanno abbattuto alberi per costruire ponti e caserme. E' il caso della proprietà di Miguel Sánchez. Quattro anni fa, nel febbraio del 1995, l'Esercito occupò questo luogo con il pretesto che era stato comprato dal governo, ma il proprietario non ha mai ricevuto nemmeno un peso.
Il 5 ottobre i priisti, insieme alla polizia, tagliarono 58 piante di caffè di Martín Sánchez Gómez e di Cristóbal Gómez. I danni ammontano a più di 2 mila pesos.
Alcuni indigeni non possono visitare le proprie famiglie. Il 3 ottobre scorso Manuel Sánchez Gómez, che dall'arrivo dell'Esercito e della polizia non aveva più fatto ritorno al villaggio, tentò di visitare la propria famiglia, ma fu costretto a fuggire perché i poliziotti accorsero per arrestarlo. Le autorità priiste, capeggiate dal commissario ejidale Alejandro López Gómez, chiesero ai poiziotti che lo cercassero. Da allora i paramilitari pattugliano le piantagioni di caffè in cerca di Manuel.
"Al principio ci assalì lo sconforto - ricorda Juan - ma poi riprendemmo forza. Le autorità autonome ci incoraggiano a continuare. Molta gente aveva paura, ma quando si è visto che il governo non ha potuto distruggere il municipio autonomo, allora abbiamo ripreso coraggio. Ad ogni colpo che riceve, la gente prende più forza, rafforza la sua mente ed il suo cuore.
"Quando cominciarono ad arrivare le carovane della società civile, la gente ha cominciato a prendere animo, non si è sentita sola. Poi arrivarono le carovane dei pastori per la pace, degli osservatori italiani e della Rete per i Diritti Umani''.
Il cuore un po' più leggero
Le persone più colpite dalla tensione sono i vecchi. "Ci sono vecchi e malati che non possono fare nulla, non sopportano la pressione né la provocazione. Soffrono di reumatismi, non possono camminare, restano a fissare il nulla. Alcuni riescono a scacciare la tristezza con il pianto, il loro cuore si alleggerisce un po' quando piangono''.
A Taniperla molti hanno incubi. Altri soffrono di emicranie "per la tensione di pensare a come uscire da questa situazione, a come raccogliere più forza", dice Juan.
Ed aggiunge: "Questa è la guerra psicologia che fa la Seguridad Pública ed il governo. Il governo non solo usa le sue armi per ucciderci e farci ammalare, ma impone la guerra di bassa intensità''.
La paura e la fame accompagnano sempre le malattie. Juan parla di infezioni agli occhi dei bambini, di febbri, gastriti ed ulcere per le carenze alimentari.
La clinica sembra una caserma militare, benché "è del governo e dice che è gratuita, ma non la forniscono di medicine. I militari stanno nella clinica e sembra molto più un ospedale militare", protesta Juan Sánchez.
Il mondo finisce per chiudersi per gli indios, perché il raccolto si vende a bassissimo costo "e tutto quello che compriamo è molto caro". Per questo, dice Juan, c'è gente che si unisce ai paramilitari per denaro: "Vendono i propri fratelli per denaro o per un chilo di riso".
Con tutto questo, la voglia di lottare non li ha abbandonati. Gli indigeni arrestati dopo l'occupazione sono ritornati e Juan racconta che sono incaricati di incoraggiare le donne: "Sì, abbiamo paura, ma come possiamo vincere se non la dominiamo" dicono loro.
( tradotto dal Comitato Chiapas "capitana Maribel" - Bergamo)
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